Le caratteristiche geomorfologiche del territorio del Parco consentono a molte specie di animali di trovare un habitat a loro congeniale infatti, la notevole escursione altimetrica, le diverse esposizioni dei versanti, la scarsa influenza antropica, determinano una tale diversità d’ambienti indisturbati da permettere a ciascuna specie di ricavarsi uno spazio nel luogo più idoneo alle proprie esigenze. Non sempre è stato così, la presenza di un’area protetta ha sicuramente determinato un’espansione di diverse specie e il reinsediamento di nuove. Volendo inquadrare a grandi linee la fauna del Parco si può cercare di segure una suddivisione per ambienti.
Dove la vegetazione legnosa lascia il posto alle distese erbose, si riscontra la fauna più propriamente alpina, in grado di adattarsi alle condizioni ambientali locali. Ermellino, Lepre alpina e Pernice bianca, hanno adottato la comune soluzione della livrea mimetica, bianca d’inverno e bruna o screziata di grigio in estate. La Marmotta risolve il problema dell’inverno sprofondando in letargo. Camosci, Mufloni e Stambecchi si dividono i pascoli e le balze rocciose in quota.
Gli anfratti delle pareti rocciose rappresentano siti di nidificazione ideali per la Rondine montana, il Gracchio alpino e corallino, il Picchio muraiolo, il Corvo imperiale e il Gheppio. L’Aquila reale che spesso si vede volteggiare sulle creste e lungo i pendii in cerca di prede, costruisce i suoi nidi sulle pareti rocciose più in basso.
I laghetti alpini oltre ad ospitare numerosi invertebrati, accolgono anche la Rana temporaria, il Salmerino di fonte (introdotto artificialmente) e la Trota fario, presente anche nei numerosi torrentelli che solcano i valloni del Parco.
A conclusione di questa breve ed incompleta rassegna si citano ancora la Volpe ed il Cinghiale, due specie molto plastiche che si ritrovano in un’estrema varietà di ambienti, e per finire il Lupo, riapparso recentemente nell’alta Val Chisone e Val Susa dopo aver lentamente risalito la dorsale Appenninica e le Alpi Marittime.
Buone osservazioni e… usate il binocolo, si osserva di più, meglio e soprattutto senza distrurbare.
GLI UNGULATI
Nel Parco sono presenti sei specie di ungulati selvatici: Stambecco (Capra ibex), Camoscio (Rupicapra rupicapra), Capriolo (Capreolus capreolus), Cervo (Cervus elaphus), Muflone (Ovis ammon) e Cinghiale (Sus scrofa). Fra tutte solamente il Camoscio è sempre stato presente nell’area protetta e nei territori limitrofi, mentre le altre specie sono state oggetto di immissioni artificiali.Il Camoscio frequenta le praterie d’alta quota, ma lo si può osservare anche sulle pareti rocciose e all’interno dei boschi, partendo dal fondovalle fino a circa 3000 metri di quota. In estate preferisce i versanti più freschi, mentre in inverno si sposta in grossi branchi su pendii molto ripidi esposti a Sud Sud-Ovest, dove la neve non permanendo a lungo, riesce a trovare cibo più facilmente.
Il Muflone costituisce un’entità assolutamente estranea alla fauna indigena, la sua popolazione è stata originata dall’introduzione di alcuni soggetti , nel 1962, all’interno dell’Azienda Faunistica Venatoria Albergian (Val Chisone) confinante con il Parco.
Cervo e Capriolo devono la loro attuale presenza all’espansione demografica dei nuclei costituiti con le operazioni di reintroduzione effettuate negli anni 1962 – 1965 nel Gran Bosco di Salbertrand (Val Susa). Il loro ambiente preferito è rappresentato da spazi aperti alternati a bosco, ma si adattano molto bene anche all’alta montagna , dove prediligono i pascoli al limite della vegetazione arborea. In inverno cercano il cibo nei versanti scoscesi esposti a Sud Sud-Ovest; se la neve è molto alta scendono nei boschi di fondovalle dove gli spostamenti risultano meno faticosi.
Il Cinghiale è comparso autonomamente agli inizi del 1900 per immigrazione di esemplari dalla Francia, le prime segnalazioni in Val di Susa risalgono al 1919. Successivamente sono state effettuate immissioni artificiali a scopo venatorio.
Lo Stambecco è stato reintrodotto recentemente con la collaborazione del Parco Nazionale del Gran Paradiso, da dove provengono gli esemplari rilasciati a partire dal 1995.
LA MARMOTTA
La Marmotta (Marmota marmota) è un roditore di facile osservazione nei pascoli al di sopra della vegetazione arborea. Il suo habitat tipico è rappresentato dalle praterie alpine e dagli ambienti di transizione ad esse attigui, formazioni basso-arbustive e zone rocciose.
Di abitudini diurne, dedica la giornata alla ricerca di cibo (varie specie erbacee e a volte qualche insetto o vermi), a farsi pulizia, a prendere il sole e a giocare con i conspecifici. Trascorre la notte e le ore più calde del giorno all’interno della tana scavata nel suolo.
Le tane possono essere molto complesse e vengono distinte in estive e invernali (Durio e C. 1988). Le prime presentano numerose entrate, generalmente poste su un prato al riparo di una roccia o di un cespuglio, da queste diparte un intricato sistema di cunicoli alla profondità di 30 – 90 centimetri, alcuni con funzione di “latrine”, altri a fondo cieco, altri lunghi parecchi metri e conducenti al “nido”, un vano tappezzato di erba secca dove gli animali si riposano e hanno luogo i parti e l’allattamento dei piccoli.
Le tane invernali hanno una sola entrata, con un corridoio di 6 – 10 metri prevalentemente rettilineo al cui termine dopo un tratto in salita, si trova la camera in cui gli animali, in gruppi anche numerosi, vanno in letargo.
Il letargo (da ottobre ad aprile) è regolato da fattori esterni (temperatura, luminosità) ed interni (ormoni), i cui meccanismi d’azione sono ancora in parte sconosciuti. Durante il sonno la Marmotta rallenta tutte le funzioni vitali: la temperatura corporea scende a 5 gradi, il battito cardiaco rallenta a 5 al minuto e le inspirazioni scendono a una ogni 5 minuti. Questo rallentamento del metabolismo consente un enorme risparmio energetico, anche se la mortalità, specialmente nei piccoli, rimane molto alta.
Il risveglio coincide con il periodo degli accoppiamenti. Al termine della gestazione di 30 – 35 giorni, la femmina dà alla luce 2 – 7 piccoli, che usciranno dalla tana dopo 40 giorni.
Tra i fattori di mortalità della specie va ricordata la predazione, dovuta principalmente all’Aquila reale e ove presenti ai cani vaganti. Di fronte al pericolo, una o più marmotte emettono un grido acuto detto “fischio”, provocando la fuga di tutti gli individui nelle tane.
I GALLIFORMI
Nel Parco si possono osservare quattro specie di Galliformi, due appartenenti alla famiglia dei Tetraonidi, Pernice bianca (Lagopus mutus) e Gallo forcello (Tetrao tetrix), due appartenenti alla famiglia dei Fasianidi, Quaglia (Coturnix coturnix) e Coturnice (Alectoris graeca).
Il Gallo forcello frequenta principalmente le zone forestali a conifere e le formazioni di arbusti contorti confinanti con le praterie di alta quota. Sono caratterizzati da un elevato dimorfismo sessuale: la femmina di colore marrone marmorizzato, mimetica, nidifica sul terreno; il maschio ha un piumaggio nero lucente con sottocoda e barre alari bianche, la coda ha forma di lira.
La morfologia del maschio è finalizzata all’ostentazione della propria presenza sulle arene di canto o riproduttive. Queste sono superfici aperte, radure, che possono avere una superficie anche abbastanza ampia di alcune centinaia di metri quadrati, dove tra aprile e i primi di giugno, ogni giorno all’alba si riuniscono diversi esemplari per cimentarsi in canti, parate e combattimenti. Le femmine visitano le arene per alcuni giorni e vengono corteggiate finchè non si rendono disponibili per l’accoppiamento.
La Pernice bianca è legata ai ghiaioni e ai macereti di alta quota, preferibilmente sui versanti esposti a Ovest o Nord. Ha un piumaggio estremamente mimetico, bianco in inverno e screziato di bruno e grigio d’estate. Le zampe e le dita sono completamente ricoperte di piume da cui il nome Lagopus che significa “piede di lepre”.
La Coturnice frequenta pendii aridi e assolati con vegetazione erbaceo-arbustiva e affioramenti rocciosi, ambienti tipici delle quote elevate, nel Parco la si incontra al di sopra dei limiti della vegetazione arborea in particolare sui versanti esposti a sud della Val Chisone e Val Sangone.
Tra queste quattro specie la Quaglia è la sola migratrice, presente nel Parco durante il periodo riproduttivo dalla tarda primavera alla fine dell’estate, dopo aver compiuto erratismi altitudinali si porta nei quartieri di svernamento africani e asiatici. Originaria degli ambienti steppici, si è adattata secondariamente alle colture cerealicole e foraggere; oggi è diventata più rara probabilmente anche a causa della cessazione delle attività colturali in quota.
LA FORMICA RUFA
Percorrendo i sentieri del Parco, attraverso le formazioni boschive di conifere, è possibile osservare grossi cumuli di aghi e detriti vegetali che costituiscono i nidi di formiche particolarmente interessanti nel campo della lotta biologica.
Sull’arco alpino italiano sono presente quattro specie di questi Imenotteri, molto simili dal punto di vista ecologico e morfologico, che vengono indicate come formiche del gruppo Formica rufa.
Queste formiche presentano una complessa vita sociale. La parte più cospicua della popolazione è rappresentata dalle operaie che svolgono diversi compiti: procurare il cibo, effettuare la manutenzione del nido e difenderlo dagli aggressori, accudire le uova e le larve, nutrire le regine.
Le regine sono femmine fertili e inizialmente provviste di ali. Terminato il loro sviluppo abbandonano il nido e vengono inseminate dai maschi durante il “volo nuziale”. Questi ultimi, dopo l’accoppiamento, hanno una vita molto breve, mentre le regine si portano a terra per fondare un nuovo nido o in un nido già esistente. Strappatesi le ali iniziano subito a deporre le uova dalle quali schiuderanno in prevalenza operaie.
La differenziazione nelle tre caste (operaie, maschi, regine) è controllata da vari fattori, fra cui la temperatura alla quale vengono deposte le uova, il tipo di nutrizione larvale, la quantità di operaie presenti nel nido, la presenza o meno di regine.
I nidi della Formica rufa possono raggiungere le dimensioni di un metro di diametro alla base per un metro di altezza, con una popolazione di 500.000 – 1.000.000 di individui. La parte emergente viene detta acervo e viene utilizzato quando le condizioni climatiche sono più favorevoli, mentre le parti più profonde della struttura sono abitate durante l’inverno.
L’importanza di queste formiche nel mantenimento degli equilibri ecosistemici è legata alla straordinaria quantità di Insetti e Artropodi che vengono catturati per il fabbisogno alimentare del formicaio (decine di migliaia al giorno). Sia in Italia che all’estero sono stati effettuati positivamente dei trapianti di formicai in zone infestate da insetti nocivi, dimostrandone così l’efficacia anche nel campo della lotta biologica.